Poesia di Salvatore Fittipaldi
Sulla tangenziale
il Faust che sento dentro, me lo porto appresso (a spasso,
sulla tangenziale) nei posti dove vado (dove non ci sono limiti e distanza,nè forma
in cui la mente deve subire il richiamo, disordinato, dell’inconsistenza: nei posti
estremi dove il paese cammina in automobile, per conto suo, con il suo ritmo,
con il suo essenziale ( essenzialmente, con l’apparente e con il reale):
proseguo per la solita corsia (la destra) a piedi, fino al trivio
(forse Wilde, se l’avessi letto al tempo giusto poteva darmi ,adesso,
una visione migliore, più esatta anche della corsia sinistra):
col tempo ho imparato (solamente: per ripetizione)
che dove c’è dolore non c’è nessuna strada che porta al proprio destino
(anche Polonio, non sapeva se era una donnola o un cammello):
ho imparato che la vita, misteriosamente,
ci sfugge (e da cui, per paura del dolore, fuggiamo :senza poter
sfuggire dal dolore, mai):
adesso ho il passo lento, ma più lungo (non veloce: giungerebbe
presto ma a nessun posto): so dove non andare, mentre vado
senza sapere dove:
è al trivio (di Via Berlinguer) che devo scegliere la destinazione,
verso il Centro, l’Appia o l’Autostrada: