Posted by on 1 settembre 2014

 
 
 

1° settembre 1939

di Wystan Hugh Auden

 

Siedo in una delle bettole

della Cinquantaduesima strada

incerto e spaventato

vedendo scadere le astute speranze

d’un decennio basso e disonesto:

onde di rabbia e di paura

circolano per le luminose

e oscurate contrade della terra,

ossessionando le nostre vite private;

l’indicibile odore della morte

offende la notte di settembre.

Le ricerche degli esperti possono

riesumare intera l’offesa

che da Lutero ad oggi

ha fatto impazzire una cultura,

scoprire quello che successe a Linz,

quale immensa illusione ha creato

un dio psicopatico:

io e il pubblico sappiamo

quel che i bambini imparano a scuola,

coloro a cui male è fatto,

male faranno in cambio.

L’esule Tucidide sapeva

tutto quello che può dire un discorso

sulla Democrazia,

e quello che fanno i dittatori,

l’antiquato ciarpame che raccontano

a un apatico sepolcro;

egli analizzò tutto nel suo libro,

la ragione messa al bando,

il dolore che plasma l’abitudine,

il cattivo governo e il cordoglio:

tutto questo ci è inflitto un’altra volta.

In quest’aria neutrale

dove ciechi grattacieli usano

tutta la loro altezza a proclamare

la forza dell’Uomo Collettivo,

ogni lingua versa a gara

la sua scusa vana:

ma chi può vivere a lungo

in un sogno euforico;

essi guardano fuori dallo specchio

la faccia dell’imperialismo

e il torto internazionale.

Le facce lungo il bancone

s’aggrappano al loro giorno medio:

le luci non devono mai spegnersi,

la musica deve sempre andare,

tutte le convenzioni cospirano

perchè questa fortezza assuma

l’arredamento di casa;

perchè non vediamo dove stiamo,

persi in un mondo stregato,

bambini spaventati dalla notte

che mai felici sono stati o buoni.

Le idiozie di partito più vacue

che gridano le Persone Importanti

non sono radicali come il nostro

desiderio:quel che il folle Nijinsky

ha scritto su Diaghilev

vale per il cuore di tutti;

chè ogni donna e ogni uomo

nutre nelle fibre l’errore

di bramare quel che non può avere,

non l’amore universale,

ma d’avere per sè solo ogni amore.

Dal buio conservatore

gli ottusi pendolari entrano

nella vita etica,

ripetendo il voto mattutino:

” Sarò fedele a mia moglie,

mi concentrerò di più sul lavoro”,

e i governanti impotenti si svegliano

riprendendo il loro gioco obbligato:

chi può liberarli adesso,

chi può arrivare ai sordi,

chi può parlare per i muti?

Tutto quello che ho è una voce

per svelare la bugia nascosta,

la bugia romantica ch’è nel cervello

del sensuale uomo della strada

e la bugia dell’Autorità

i cui edifici frugano il cielo:

non c’è una cosa chiamata Stato

e nessuno esiste da solo;

la fame non lascia scelta

al cittadino nè alla polizia;

dobbiamo amarci l’un l’altro o morire.

Senza difesa il nostro mondo

giace sotto la notte attonito;

eppure, accesi ovunque,

ironici punti di luce

lampeggiano là dove i Giusti

si scambiano i loro messaggi:

oh, ch’io possa, composto come loro

d’Eros e di polvere,

assediato dalla medesima

negazione e disperazione,

mostrare una fiamma affermativa.

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NYC – Ivano Mercanzin