Mescolo i colori. E lo faccio di notte, quando sono solo, al buio, senza possibilità di vederli. Mi concentro a occhi chiusi, perché tenerli aperti e non riuscire a percepire altro che il vuoto del nero mi deprime. Però lo faccio appositamente, sarebbe troppo facile di giorno, con la luce, troppo scontato. La luce è una guida, ma ti porta dove vuole lei. Io, invece, voglio sovvertire gli ordini. Quando cala il silenzio, dopo le ultime fatiche, spengo tutti gli interruttori e mi chiudo in casa. C’è un angolino, qui, che pare ricavato da uno scrigno con pareti di velluto. Ci si sente a posto, abbracciati dalle tenebre, che ammansiscono la frenesia del vivere; le mie polveri sono tutte ad attendermi, ordinate in un armadietto, e io le riconosco dall’odore. Nel mio mondo, ogni colore ne ha uno ben preciso. Stanotte, ho bisogno di levare vita all’ocra, che parla della gioia che ho annusato oggi per le strade della città. Indisponente, nella sua felicità. Odora di un’attesa che senti porterà a qualcosa di magico. So che tra i suoi frammenti rilucono raggi di sole, ma io li voglio spegnere. Annusando, il fiato mi si fa grosso, come se faticassi a respirare. Non controllo mai l’effetto che mi fanno i colori; è proprio questo che mi riporta qui: la possibilità di lasciarmi entrare nel naso, a fondo e senza filtri, i loro odori, spogliati dalla luce che emanano quand’è giorno, solo la loro essenza, al buio, per comprenderla più a fondo. Questo giallo mi altera, mi predispone a una nuova attesa, e non mi va: spegnere i toni a volte può essere salvifico, permette di non trascinarsi giorno dopo giorno cercando di arrivare a un qualcosa che ancora non si è nemmeno immaginato, senza respirare il presente. Sono stanco, stanco di tutto questo aspettare. Afferro il grigio, è sempre l’olfatto a guidarmi; il suo odore sa di inerzia e con rabbia lo getto sul giallo. E’ come buttare acqua su un fuoco, come togliere ossigeno a una creatura vivente. Bloccare per un breve lasso di tempo ogni iniziativa, levando l’energia in eccesso. Ora, il mio respiro scende di tono, approda lentamente alla parte più in profondità che mi sta nel cuore: cammina piano, guardingo, andando sempre più in basso. In quel luogo dell’anima dove c’è spazio per assaporare, senza fremere.
L’odore di questo nuovo composto mi riempie. “Giallo più grigio”, sarà il suo nome tecnico, con il quale lo catalogherò nella mia agenda. Ma è molto di più.