“Salve.
Mi chiamo Elena Pezzetta, ho (solo) 19 anni, vivo a Bari.
Studio pittura in Accademia di Belle Arti e sono anche un’appassionata fotografa freelance.
Sarebbe davvero grandioso se poteste dare un’occhiata ai miei lavori (qui sul mio blog:http://elenapezzetta.wordpress.com/)”
Questo uno stralcio della e mail ricevuta qualche giorno fa da Elena, immediatamente entro nel sito e inizio a scorrere le sue immagini: rimango incantato, siano esse figure (straordinarie) o paesaggi ( intensi e meravigliosi) rilevo un fil rouge che le accompagna, mi chiedo per un attimo cosa può essere poi arriva il messaggio forte e chiaro: LE CROMIE.
Il gioco di luci e ombre “colorate”, acide, esasperate, innaturali, forzate, “rumorose”, borderline, distorte, che dipingono ogni immagine di qualcosa di “suo” di una “sua” personalissima firma distinguibile.
Il tutto accompagnato da emozione, spiazzamento, come se per un attimo ogni immagine ti assorbisse e ti portasse con sé catapultandoti nello stesso istante dell’osservare all’interno della scena, in cui tu diventi parte di quelle figure immobili, spettatore ignaro senza possibilità di intervento e di modificare il déjà vu.
Sei l’osservatore che scruta i cieli , sei il viaggiatore che osserva l’altro viaggiatore in metropolitana, sei la persona proiettata all’interno della scena che ne assapora: luci, ombre, freddo, odore di nebbia, gocce che si appoggiano sulla pelle, rumore ovattato dalla neve…
SOUS LE CIEL DE PARIS di Elena Pezzotta
Non saprei affermare con sicurezza se il mio viaggio a Parigi (2013) è stato il coronamento di uno dei miei sogni nel cassetto o, piuttosto, il soddisfacimento di un capriccio. Fatto sta che, sin’ora, è la città che mi ha per davvero rubato il cuore e non rimpiango nulla della mia esperienza.
E’ vero: in fondo, le città e soprattutto le grandi metropoli europee si somigliano un po’ tutte; corse contro il tempo, folla quasi ovunque, l’ansia di non smarrire o dimenticare niente…insomma, capita che il soggiorno si riveli più stressante di quanto sperato.
Ma a Parigi, inaspettatamente, mi sono ritrovata a vivere una situazione opposta; la sensazione dolceamara che mi ha cullato per tutto il tempo è stata quella che il tempo si fosse fermato.
Sarà che durante il periodo invernale ci sono (fortunatamente) pochi turisti, sarà che le vaste distese di neve e la magnificenza del patrimonio storico-artistico hanno fatto sì che sovrapponessi la percezione di spazio e tempo sino ad annullarli, sarà che quando si esplorano nuove terre l’entusiasmo e la meraviglia fanno andare senza far pesare ogni singolo passo, ma a Parigi mi è sembrato di essere in un mondo parallelo.
Per non parlare del fatto che, ad ogni angolo, mi sembrava di sentir riecheggiare versi di Baudelaire, Verlaine, Rimbaud o Mallarmé e mi riusciva naturale immaginare Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir camminare sulla rive gauche della Senna.
Cosa ho amato di più di Parigi? La verità? Il cielo. Sì, perché il cielo di Parigi è come una grande cupola o, come scriveva Baudelaire, un coperchio che sembra pressare e quasi soffocare. L’ho trovato incredibilmente suggestivo: dovunque alzassi lo sguardo, vi erano nuvoloni e stormi di uccelli. Diciamo che, a tratti, mi è sembrato di essere in un film di Hitchcock o di Tim Burton.
Bisogna ammettere che quando si è in un posto che non è casa, è più semplice guardare tutto con occhi nuovi, idealizzare e anestetizzare, invece, lo spirito critico. Parigi ha, innegabilmente, i suoi scheletri nell’armadio (il clima rigido, l’esuberante nazionalismo dei parigini –che io adoro-, il tenore di vita, il divario secco tra ricchezza e povertà…) ma certo è che si tratta di una città pulsante e senza tempo, pervasa di magia dalla quale è impossibile non essere catturati.