Robert Frank le cui immagini sono straordinarie per la loro profonda comprensione della complessità umana ha descritto la cultura americana come nessun altro prima e dopo di lui.
Nel 1955, mentre lavorava come redattore della rivista Fortune, Walker Evans commissionò a Robert Frank una serie di fotografie con un elegante treno pomeridiano come soggetto, il Pennsylvania Railroad Train, un espresso che da New York raggiungeva Washington DC , DC R.Frank mise a fuoco soprattutto gli uomini d’affari ed i politici con la sua fotocamera, mentre stavano bevendo nel salone ristorante del treno indossando le loro scarpe lucide e brillanti come non mai. Il progetto segna l’inizio di un viaggio durato due anni che portò l’artista in tutto il paese. Il risultato fu raccolto in un il libro “Gli americani (1958-1959)”, un omaggio ai rituali tradizionali degli americani mai esaminati prima da un processo fotografico, comprendenti i loro usi e costumi, dall’uso della televisione a quello del juke-box, dalle concessionarie delle Cadillac ai battesimi su fiumi fino ad entrare nei negozi dei barbieri. In quegli scatti il soggetto è raramente un rappresentante dell’elite del potere americano.
L’America fotografata da Robert Frank gli permise di comprendere quanto fosse aleatoria la libertà in quel paese, aveva immaginato più tolleranza ed invece nell’Europa del dopoguerra questi due valori possedevano ancora un valore aggiunto qui messo continuamente in discussione. Attraverso le sue immagini scoprì l’alienazione ed il pregiudizio razziale che ribolliva sotto una superficie felice. La sua disillusione si incarna perfettamente nell’immagine dell’uomo afro-americano in disordine, staccato dalla folla ed addormentato in una posizione fetale in mezzo ai resti di una festività come
l’Indipendence Day a Coney Island.
Robert Frank si rivolse alla fotografia per sfuggire i confini di una famiglia orientata solo verso gli affari e la finanza. Il suo primo libro di fotografie autofinanziato fu pubblicato nel 1946 dopodiché nel 1947 emigrò negli U.S.A. assicurandosi un posto di lavoro a New York, come fotografo di moda per la rivista
Harper Bazaar. Inizialmente ottimista ed entusiasta sullo stile di vita americano scoprì ben presto il ritmo veloce di vita e l’enfasi eccessiva data al denaro. Percepì questo paese come un luogo desolato, inoltre diventò sempre più insofferente al controllo esercitato dai suoi datori di lavoro. Commissioni che gli permisero di avere sempre più esperienza ma da cui lui si staccò ben presto.
Grazie ad una borsa di studio della Fondazione Solomon R. Guggenheim nel 1955 intraprese un viaggio negli Stati Uniti per fotografare la società americana. Due anni di viaggio insieme alla sua famiglia, al figlio maggiore in particolare, da cui uscirono 28.000 scatti e solo 83 di questi furono infine selezionati da lui per la pubblicazione del libro fotografico “The Americans”. Egli fu uno dei principali artisti visuali a registrare la sottocultura della Beat Generation, provando un’affinità spontanea nel documentare le tensioni all’interno degli ottimistici anni Cinquanta, le varie realtà delle classi sociali e le differenze razziali. Questo fotografo riuscì a far emergere un’ironia sottile dallo sfavillio della cultura americana, dalla sua ricchezza e ciò fornì una tensione non comune alle sue immagini, in netto contrasto con la maggior parte dei foto-giornalisti americani contemporanei, usando in modo insolito la messa a fuoco, la scarsa illuminazione ed il ritaglio che non era molto amato dalla tecnica fotografica vigente in quel periodo.
Nato in una famiglia di banchieri ebraici a Zurigo il 9 novembre 1924, dal 1941 al 1944 lavora come assistente fotografo al seguito di
Hermann Segesser e Michael Wolgensinger. Nel 1946 si autofinanzia la prima pubblicazione, cui dà il titolo di
40 Foto. Nel 1947 lasciò l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti. A New York viene ingaggiato come fotografo di moda per Harper’s Bazaar. Parallelamente alla fotografia di moda svolge una prolifica attività di reporter freelance che lo porta ad affrontare viaggi in
Perù e Bolivia nel 1948 e nel 1949 in Europa (Francia, Italia, Svizzera e Spagna). Nel 1950 Frank ha già un nome ed alcune sue fotografie verranno incluse nella mostra
“51 American Photographers” allestita al Museum of Modern Art di New York e poi nella celebre “The Family of Man” del 1955.
Tra il 1952 e il 1953 continua in Europa la sua attività di reporter tra Parigi, Londra, Galles, Spagna e Svizzera. In questo periodo abbandona definitivamente la fotografia di moda e comincia a lavorare sempre più seriamente come foto- giornalista freelance. Nel 1955 Robert Frank è il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. Sembra impossibile immaginare la recente storia della fotografia senza Robert Frank. Aveva 31 anni quando nel 1955 vinse la borsa di studio della fondazione John Simon Guggenheim con cui finanziò il suo viaggio negli Stati Uniti, a bordo di un’auto di seconda mano insieme alla moglie e ai due figli. In quel viaggio, durato quasi un anno, scattando migliaia di foto.
Il libro “The Americans”fu pubblicato per la prima volta dall’editore francese Robert Delpire nel 1958. Furono scelte 83 foto in bianco e nero, e cambiarono per sempre il senso e il ruolo della fotografia. Pubblicato negli Stati Uniti un anno dopo, resta il libro di fotografia più influente del ventesimo secolo, che ha sfidato tutte le regole formali conosciute fino a quel momento: Frank cambiava spesso le lenti della sua macchina fotografica, usava la profondità di campo in maniera insolita e i suoi soggetti non sempre erano fermi.
Negli anni sessanta, nonostante il crescente successo dei suoi lavori, Frank abbandona la fotografia per dedicarsi completamente alla realizzazione di film. Un cinema, il suo, carico di tensioni e tematiche prettamente private e introspettive, come
Conversations in Vermont (1969) o About Me: A Musical (1971). Collabora ancora con i beats, soprattutto
Ginsberg, Orlovsky e Burroughs, ma anche con i Rolling Stones ( Cocksucker Blues 1972, documentario censurato dallo stesso gruppo) e, con
Tom Waits, Joe Strummer (Candy Mountain, 1986) e Patti Smith. Dopo la tragica perdita della figlia Andrea, appena ventenne, Frank ricomincia a riutilizzare la macchina fotografica. Dalla metà degli anni settanta a oggi, la sua fotografia è lontana dai
reportage precedenti: usa collage, vecchie fotografie, fotogrammi, polaroid; scrive, graffia e incide direttamente sul lato sensibile della pellicola. Frank alterna soggiorni a New York con lunghe permanenze a Mabou, in Nova Scotia, insieme alla compagna e pittrice
June Leaf.
Nel 1994 dona gran parte del suo materiale artistico alla
National Gallery of Art di Washington che crea la
Robert Frank Collection; è la prima volta che accade per un artista vivente. Nel
1996 ottiene l’Hasselblad Award e nel 2000 il Cornell Capa Award. Tra il 2005 ed il 2006 viene organizzata un’ulteriore retrospettiva della sua vita artistica gira il mondo: si tratta della mostra
Robert Frank: Story Lines, partita da Londra nel novembre 2004.
Dal suo trasferimento a Nuova Scozia, Frank ha diviso il suo tempo tra la sua baracca di pescatori sulla costa, e il suo loft Bleecker Street a New York. Ha acquisito la reputazione di essere un recluso (in particolare dopo la morte di Andrea) con una calo di interviste e apparizioni in pubblico. Ha continuato ad accettare incarichi eclettici, tuttavia, come fotografare il Democratic National Convention del 1984, e dirigendo video musicali per artisti come New Order e Patti Smith. Frank ha continuato a produrre sia film e immagini fisse.
Cosa ha detto della sua fotografia:
There is one thing the photograph must contain, the humanity of the moment.
C’è una cosa che la fotografia deve sempre comprendere, l’umanità del momento.
Cosa hanno detto di lui:
“Era un lavoro sconvolgente perché mostrava le cose com’erano”, spiega il giornalista
Sean O’Hagan.
“Il ritratto di un territorio e dei suoi abitanti che molti americani non potevano o non volevano vedere: un paese triste, difficile, diviso, più malinconico che eroico”, sostiene Nicholas Dawidoff . E aggiunge che le immagini di Frank hanno mostrato “cosa significa essere poveri o ricchi, innamorati o soli, giovani o anziani, bianchi o neri, lavorare troppo o dormire in un parco, fare politica o pregare”.