Grovigli affascinanti, figure mitologiche, un action painting fotografica che Pino Dal Gal sa gestire con la sua ormai consueta maestria, trasformando il noto e il comune in qualcosa di unico e straordinario. Figure in movimento che trascinano lo sguardo e si animano con la mediazione della nostra fantasia e i ricettori delle sinapsi stimolati da colori come pointillisme e dalle forme sinuose come fauves trascendono elevando le immagini in opere d’arte ( Ivano Mercanzin)
Un giardino segreto che Pino Dal Gal ci stai svelando in tutta la sua bellezza, un labirinto forse dietro il quale si cela la sublimazione della nostra esistenza. Stupenda l’atmosfera descritta, Pino la fai respirare nel suo scatto, la fa toccare, gustare. La voce irreale di ogni passo che ha il suono profondo e cupo della stanchezza pronta a trovar un luogo in cui decontrarre la sua muscolatura dolorante. Appoggiarsi ad un muro simile e sentire il battito della vita che si è incuneata in ogni suo anfratto. (Paola Palmaroli)
Quando si lavora a maglia o ad uncinetto si prova la stessa sensazione, ogni filo diventa parte di un tutto che il tessuto finale mostra e definisce come spazio e forma. Il muro, l’intrico di rami e le fessure in cui ognuno di essi ha trovato il suo spazio, quei rami nodosi e robusti che aderiscono alle mura come fossero vene, arterie, capillari, in cui la linfa vitale continua a scorrere fino all’ultimo respiro insieme all’atmosfera onirica che hai tratteggiato sono affascinanti come non mai. Dita ed articolazioni consumate dal tempo e dal lavoro, deformate e capaci di eseguire ancora gesti armoniosi, quei toni di celeste-avio che la nebbia porta con sé costituiscono un respiro che abbraccia ed ammorbidisce ogni asperità. Bellissima la sensazione che dona questo muro, le foglie secche ancora attaccate ed accartocciate su sé stesse, tutto sembra pronto a disfarsi eppure ha un tale impeto nelle sue connessioni più intime da sentire la sua forza giungere fino a noi che osserviamo la scena. Bell’effetto, direi rassicurante, come dopo aver provato un emozione intensa, quando tutto scema lentamente e si riprende il controllo del proprio respiro, della voce, dei gesti, tutto si placa e si conta quel che resta di noi come queste foglie attaccate con ostinazione ai rami rinsecchiti ed apparentemente privi di vita. (Paola Palmaroli)
C’è un terreno insidioso che raramente affrontiamo, pareti sconnesse e lastre che tremano sotto i piedi di un’abitazione che vorremmo più sicura e meno invasa da un intrico di esperienze e di emozioni assemblate insieme quasi alla rinfusa come in certe soffitte. Questa immagine mi ricorda tale terreno accidentato su cui camminare come in punta di piedi per non inciampare o riaprire ferite rimarginate a fatica. Ho in mente per deformazione professionale certe ulcere che devastano le gambe oppure quelle invisibili che feriscono il tessuto di un’anima, ci vuole una tale pazienza per medicare o lenire quelle fessure che si creano tra una lacerazione e l’altra, tutto si ricompone lasciando dei segni evidenti dell’accaduto. Le foglie con le loro forme accartocciate ed i colori sgargianti inseguono la nebbia o sono inseguite da quell’atmosfera azzurrognola, quasi onirica. Dentro di noi ci sono talmente tante stanze da visitare, questa sarebbe quella meno ambita ed invece appare la più interessante da scoprire. Le infinite forme che si scorgono vorremmo reinventarle, come di certi gomitoli disfatti ed aggrovigliati si tenta di ripristinarne il percorso abbandonato dal filato di cui è composto. Questa visione appare come una memoria lacerata ma pronta a trovare nuovi assetti ed equilibri, un nuovo telaio da cui rinascere. Bellissima la commistione tra la nebbia e questo ricamo astratto colto con struggente delicatezza che la natura ha creato e donato allo sguardo attento dell’autore. (Paola Palmaroli)
In questa immagine si ha l’impressione che tutto stia per svanire, che la nebbia invada ogni spazio fino a farlo suo. Due mondi contrapposti, quello visibile ed quello invisibile, qui di fronte l’uno all’altro che non si fanno alcuna promessa, né accettano armistizi, un contrapporsi che vedrà solo un unico vincitore. Peccato che talvolta ci si dimentichi che chi vince perde e chi perde vince, quindi finiranno per annullarsi a vicenda senza trovare la forza di concedersi lo spazio necessario per sopravvivere l’uno all’altro. Bellissimi i toni di colore e quei rami che paiono correre veloci lungo il muro per arrivare in aiuto di quel che resta nelle trincee di una guerra di cui non si conosce né l’inizio né si prevede la fine, tra anima e corpo, tra mente e cuore, un dibattersi che qui è struggente e delicato allo stesso tempo, come tra due moribondi che non vogliono arrendersi. L’immaginazione ed il reale, che meraviglia sentire queste due energie in questo scatto, una fusione inarrestabile di memorie e di coscienze! Su quel muro sembra narrata l’epica contrapposizione del rapporto tra parola ed immagine, una sintesi perfetta tra nascita, morte e resurrezione di due modi diversissimi e complementari allo stesso tempo di comunicare. (Paola Palmaroli)
Un angolo simile ad un cuneo, come le legioni romane si posizionavano prima di un combattimento, disponendosi a cuneo in una formazione d’attacco compatta, larga alla base, l’angolo a questo mi ha fatto pensare, all’inizio di un combattimento interiore. Quell’angolo cui il muro dà forza e peso è pronto a fendere i percorsi altrui, a liberarsi da quell’intrico avvolgente che perfino la strada, scorticata del suo manto sul bordo che la unisce alle mura, dà l’impressione di un lento ed indissolubile moto, uno spostamento profondo degli equilibri presenti. Si rimane ad osservare la scena e ci si sente avvolti dalle certezze come pure dall’incertezza che prende i connotati di una nebbiolina azzurrognola che si espande in ogni direzione. Una nebbiolina in grado di superare i confini imposti dalla nostra coscienza, quelli di chi vorrebbe sempre percorrere lo stesso tragitto e non trovare mai nessun cambiamento da affrontare. Coloro che perfino un angolo di strada od un muro devono rimanere sempre gli stessi, non un luogo cui attingere figure e forme di giorno in giorno mutevoli e prive di punti fermi cui far riferimento. Mi sorge spontanea la curiosità di capire cosa ci sia dietro quell’angolo, la nebbia promette di non oscurar del tutto quel che è celato alla vista, di non privarlo della sua consistenza. Una sensazione di oppressione latente dà il muro con il suo viluppo di rami, una rete che rappresenta le nostre rassicuranti abitudini, tanto amate e cercate con pervicace ostinazione. Scegliere se girare l’angolo oppure no questo forse è l’unica libertà che ci resta veramente da gestire. Bellissima visione e fonte di ispirazione,un evento naturale come la nebbia è capace di prestarsi a mille interpretazioni. (Paola Palmaroli)
di Pino Dal Gal