“La Grande Illusione” di Larry Woodmann
Un amico mi chiede: “…ma qual è la tua modella ideale, Larry?”
Ci ho messo 600 chilometri da Roma a Milano per darmi una risposta, preso com’ero da altri pensieri che si accavallavano su altre domande sul mio modo di fotografare. Una lunga autoanalisi tra paesaggi, distributori, sorpassi, fasci di luci nella notte.
Perché scatto? Perché donne e non paesaggi? Perché certe donne piuttosto che altre? Perché amo il bianco e nero? Perché inquadrature spesso inusuali e contrarie ad ogni regola fotografica? Cosa cerco? Cosa trovo? Cosa non trovo mai?
Potrei sintetizzare con un bellissimo concetto espresso da Robert Doisneau: “Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia.”
S’, credo proprio che la mia necessità di scattare nasca da una profonda paura della morte. Non a caso è una passione che mi è nata in età matura quando volenti o nolenti il conto alla rovescia è iniziato. In questo modo mi illudo che fermando quell’attimo lo renda eterno ed insieme ad esso i miei occhi che lo hanno colto. Se la fotografia per me è vita, non potrei mai scattare “nature morte”. Odio le contraddizioni anche se solo formali: per me la vita è donna. E’ colei che la dà, è colei che la rende più bella. Ma una donna idealizzata, non reale, una donna che attraverso la sua immagine, la sua espressione, il suo gesto rappresenti in quel momento tutte le donne che ho incontrato, che ho ammirato, che ho desiderato, che ho amato o che avrei voluto fare. Per questo non amo il colore: troppo falsamente “realistico” quando in realtà sappiamo che il colore in sé non esiste; sono i nostri occhi umani che lo vedono così. L’essenza non è colorata ed io quella cerco. La trovo, non la trovo, la cerco ancora. Attraverso giochi di specchi (presenti spesso nei miei scatti), pareti che si frappongono tra me e la modella, occhi che non guardano ma spesso socchiusi come angeli di un paradiso perduto. Il riflesso e l’ostacolo sono simboli della grande illusione e della grande incomunicabilità che in realtà esiste tra fotografo e modella. Quando sento parlare di intese particolari tra quei due soggetti attori della fotografia quasi mi infastidisco: l’intesa è solo col mio immaginario perché in realtà scatto una donna che esiste solo nella mia mente e meno comunico con la donna “reale” che ho davanti (salvo il minimo indispensabile) e meno quell’incantesimo illusorio rischia di interrompersi.
Ecco allora come, arrivato a Milano, riesco a darmi una risposta alla domanda iniziale.
La mia modella ideale è quella che, quando finalmente solo davanti ad uno schermo che lavoro lo scatto che la ritrae, mi fa innamorare di quella donna dimenticandomi della sua vera identità.