Intervista a VALERIA LO MEO
Le tratte che stai ricoprendo ti sono state date o le hai scelte?
La prima tratta Canada/Panama mi è stata data, team solo femminile, quindi era quasi d’obbligo. Poi invece, ho chiesto io se c’era la possibilità di proseguire e coprire anche la seconda, Panama/Bolivia perché è un pezzo di mondo che mi manca completamente. La verità però, è che la tratta che più mi affascinava e incuriosiva, era la prima: da Brescia fino in Kazakistan. Attraversare luoghi che su di me hanno sempre avuto un grande fascino…. sarà per un’altra volta…
Hai un idea per il progetto personale che andrà nel cofanetto finale?
È da quando mi è stato proposto di partecipare a 7 mila miglia lontano che penso al mio progetto personale. Un progetto che dia senso al mio viaggio e a questa esperienza. Inizialmente avrei dovuto essere videomaker sulla tratta americana con il team donne e quindi la mia idea era molto “tagliata” per quel percorso, ma in realtà poi con il cambiamento dei ruoli ho dovuto ripensare al tutto. Anche se mi sono accorta immediatamente che tale progetto poteva benissimo essere sviluppato anche sul viaggio da Panama alla Bolivia. Posso quindi ancora lavorare a quell’idea e sono felice di non averla dovuta abbandonare del tutto. Si vedrà…
Se non sbaglio, non hai mai lavorato a fianco con una giornalista, qual è il vantaggio di questa collaborazione o l’eventuale limitazione?
Trovo il giornalista una presenza preziosa per il mio lavoro, con Diana, abbiamo instaurato da subito una buona complicità, una spalla essenziale per entrare a contatto con la gente. Io devo preoccuparmi solo delle immagini, mentre quando sei da sola, devi prima riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia con chi hai davanti e solo dopo riesci a pensare alle immagini. C’è tanto da imparare da lei ed è curioso il modo con cui entra dentro le storie e riesce a far parlare le persone. È indubbio che se il team racconta in sinergia l’esperienza che sta vivendo, la gente è più coinvolta … Video, testo e foto insieme, hanno un potere comunicativo ed emozionale fortissimo.
Reportage li hai sempre fatti con il tuo compagno che è fotografo, trovarti adesso a collaborare con altri due fotografi, noti diversità particolari nei loro modi di lavorare e nel tuo modo di interagire con loro?
Lavorare con Andrea e Alberto è uno spasso, la loro modalità di lavorare è molto simile a quella di Luciano (il mio compagno) con l’ unico GRANDE vantaggio che non usano un grandangolo così spinto. Devo dire che Luciano mi disturba di più, visto che lui si avvicina molto ai soggetti. Tra l’ altro, loro essendo in due, riescono a farmi da guardia del corpo in modo più efficace, l’ altro giorno per esempio a San Jacinto, un ipotetico poeta del paese, aveva deciso che doveva tenermi compagnia a tutti i costi… Alberto mi è venuto a recuperare con una scusa qualunque e a trarmi in salvo. Battute a parte, il loro modo di lavorare, così come quello di Luciano, è come dovrebbe essere quello di un qualsiasi fotografo di reportage: disturbare il meno possibile (non me ma i soggetti) e cercare di essere il più invisibile possibile, poi ognuno trova la sua strada e il suo modo di essere.
Ultima domanda e poi ti lasciamo al tuo viaggio, non penso facile: hai in programma un video tuo personale nel cassetto? Un progetto che ti è nel cuore e che affronterai?
E’ da tanto tempo che penso ad un cortometraggio che mi piacerebbe un giorno realizzare e che reputo, il lavoro più importante della mia vita. Mi coinvolge a livello personale e per questo non sono ancora pronta, ma prima o poi lo farò.
( a cura di Luciano Perbellini)