COMPLETATO – WELL DONE
18 ottobre Ore 20.44
Un baracchino a bordo strada, delle salsicce appese, una decina di cani zoppi che vagano tra le sedie di plastica alla ricerca di cibo.
Siamo sedute, birra e acqua davanti, nell’aria una musica che è già Sud America, di fianco la Panamericana, quella striscia di asfalto che nell’ultimo mese ho visto più spesso di mia madre negli ultimi dieci anni.
“Dopo tutti questi giorni in macchina, sull’autostrada, adesso siamo qui, con le salsicce che ci fanno la ola”. Questo è il commento, serissimo, di Valeria.
Più serie di lei, forse, sole le salsicce.
E alla fine c’ha ragione, ad essere seria. La sensazione è quella.
Se il 20 di settembre se mi avessero detto che ce l’avremmo fatta, a finire la nostra tappa, non ci avrei creduto. Troppi ritardi, intoppi, problemi. Pensavo sarei rimasta a Vancouver, con Jimmy Lee, quello della dogana e delle macchine che non arrivavano. Pensavo che magari ci saremmo pure sposati e avremmo avuto tanti figli italoasiaticocanadesi. Magari 7, per compensare le miglia perse.
Se me l’avessero detto, tra una colazione al Mc Donald, un pranzo in auto e un motel a bordo strada, con la faccia appiccicata, il culo piallato sul sedile e le occhiaia con il riporto, c’avrei creduto come a quello che al secondo appuntamento ti dice che sei la donna della sua vita e intanto su whatsapp scrive alla fidanzata incinta.
E invece siamo qui, a meno di quaranta miglia di Panama City.
Che al solo dirlo ad alta voce mi si sbriciola la faccia.
Abbiamo mangiato una grigliata mista affogata in una salsa verde, agliata, che ricorda la messicana guacamole. Insieme, una torta di mais che continua a ricordare le messicane tortillas. Fritta, unta, imbottita di formaggio. Abbiamo guardato un bambino panamense lanciarsi in sfrenati balli latini in bilico su una panca di legno. Abbiamo sfamato i randagi zoppicanti con l’unto che non ci stava più nello stomaco. E abbiamo realizzato, ad un certo punto, che ce l’abbiamo fatta davvero.
L’abbiamo realizzato in un ristorante abbozzato, a bordo strada. Uguale a tanti che abbiamo incontrato in questo mese. Eppure diverso. Nelle salse che ti mettono nei piatti e nelle mani di chi te le prepara.
E tra quei tavoli, quei cani, quegli avventori, ho un po’ riletto tutto quello che mi è stato buttato nella testa da quando sono partita.
Ho rivisto gli occhi, gli accenti, le voci delle migliaia di persone che abbiamo incrociato. I nomi delle città, i paesaggi, le sensazioni. Adesso è tutto sovrapposto, nelle nostre teste, come i pezzi di carne della prima grigliata in terra panamense.
Il Canada, l’America, il Messico, il Guatemala, El Salvador, l’Honduras, il Nicaragua, il Costa Rica.
Sono gli scontrini nella borsa e le monete sul fondo dello zaino. Sono le foto, le impressioni di un momento, le sensazioni strappate ad una città come si strapperebbero ad un amante che va via sempre troppo presto. Una donna appoggiata ad un muro, un bambino sul bus, un vecchio a cui hai chiesto un’indicazione.
I pezzi, tra un po’, si metteranno a posto da soli.
Ogni città con il suo nome, ogni strada con il suo paesaggio.
Adesso, però, è ancora presto.
Ci godiamo questa confusione, a bordo della Panamericana, con una birra e le ultime 40 miglia davanti.
(team 7MML)