Il Guatemala ci è scivolato via in due giorni.
Troppo poco, quasi un delitto.
Ci è scivolato via lasciandoci addosso gli odori di due città diverse, forti, due città che mi immagino rivali, quasi in guerra, a difendere ognuna la propria identità come fosse quella giusta, come rappresentasse il Guatemala, quello vero.
Da un lato Chichicastenango, con le sue vie strette, le tende del mercato basse, i tubi di scappamento e i clacson a intasare il naso e le orecchie. E poi le donne, i loro costumi, il contrasto incredibile tra quella luce e gli sguardi bassi, sfuggenti, vergognosi. Donne di una volta imprigionate in un passato che è diventato futuro senza nemmeno avere il coraggio di dirglielo. Le donne di Chichicastenango non amano essere fotografate. Stanno sedute sui gradini della chiesa a vendere fiori che sembrano garafoni, a impastare tortillas di mais scure, a cucinare il toro che chiamano “Rey”. Un re, un signore, un maschio.
Le donne di Chichicastenango appartengono al secolo scorso. E non ho capito se si siano accorte di quanto sia cambiato, intorno a loro, mentre se ne stavano al mercato, silenziose in mezzo al frastuono.
Forse non lo sanno, forse non gliene importa niente.
E forse non vogliono nemmeno che importi alle figlie, vestite da adulte tra i banchi del mercato come se la vita si concentrasse tutta lì, tra le tende, i vapori del cibo e fumi delle auto.
Le donne di Chichicastenango non hanno niente in comune con quelle di Antigua.
E non hanno niente in comune nemmeno le loro vie, gli odori, le sensazioni.
Ad Antigua, la mattina presto, c’è profumo di pane e di cannella, di caffè negro e di biscotti.
Le strade, prima strette, diventano larghe, di un acciottolato scuro costeggiato dalle rovine chiare delle Chiese. Non ci sono rumori, i clacson non suonano.
E mentre Chichicastenango non lascia niente all’immaginazione, rovesciandoti addosso i suoi odori forti tutti insieme, Antigua è una città che si nasconde.
Dietro ad ogni porta un patio, un cortile, un chiostro che ti lascia senza parole.
E lì, tra il barocco e il verde, mi sono immaginata storie che non ho nemmeno avuto tempo di raccontare.
Troppa, forse, la suggestione di una città che è andata avanti, insieme al tempo. Senza tradirsi. Antigua è una città di oggi, una città fatta di donne di adesso, di bambine con la divisa della scuola addosso e il costume tradizionale nell’armadio.
Le poche che incroci vestite come una volta sembrano portarlo solo a beneficio dei turisti, sorridendo indulgenti della loro ingenuità.
Antigua è cresciuta senza perdere quel sapore agrodolce che hanno solo le città complesse, quelle con un ieri che non ha ingoiato il domani ma che dal domani non è nemmeno stato sopraffatto.
Antigua è forse uno dei piccoli dolori di queste sette mila miglia fatte di paesaggi che scorrono sul finestrino, di asfalto sotto le gomme, di città che cerchi di mettere a fuoco mentre tutto intorno a te si muove.
Pretendeva, meritava più tempo.
Mi sarei seduta, in uno dei suoi cortili, per farmi raccontare qualcosa di più.
So che se l’avessi fatto qualcuno si sarebbe fermato, prima o poi, a spiegarmi l’origine e la storia di quel fascino ritroso.
Siamo dovute risalire in auto, Antigua alle spalle.
Mi è rimasta però un’immagine su cui costruire una storia.
Quella di una donna, seduta su un gradino.
Aveva il volto segnato, gli occhi che hanno visto tanto, lo sguardo sorridente.
Un vestito tradizionale addosso e, ai piedi, un paio di All Star.
Quella vecchia e le sue rughe mi sono sembrate il simbolo di una città dolce, complessa, nascosta. Una città di cui leggi il passato, immagini il futuro e respiri un presente che sa di pane dolce e di cannella.
(team 7MML)