Posted by on 4 aprile 2015

 
 
 

All’alba il Kilimangiaro si scrolla di dosso la coltre di cumuli nembi e lascia ammirare la sua maestosità. Le due cime, Kibo e Mawenzi, si stagliano imbiancate sopra di noi mentre viaggiamo su una strada di terra vulcanica, verso Campi Ya Kanzi. Siamo alle pendici delle Chyulu Hills, le verdi colline d’Africa di Hernest Hemingway, nella terra dei Maasai, dove Luca Belpietro e sua moglie Antonella quasi vent’anni fa hanno dato vita a un grande sogno. Hanno creato un incantevole eco-lodge coinvolgendo attivamente la comunità locale e apportando i benefici del turismo sostenibile ai villaggi così come alla flora e alla fauna del territorio.
Dopo l’affettuosa accoglienza dell’amico Stefano Ricci, da anni guida al campo, ci troviamo immersi in quella terra ancestrale accompagnati da Parashi, una guida Maasai, e con lui ci avventuriamo a piedi nella savana protetti dalla sua lancia e dalla sua fierezza di guerriero. Raggiunta la vetta del monte Koikuma, da quei monoliti color ocra mentre cala il sole percepiamo l’immensità di ciò che ci circonda e viviamo quel contatto magico con la natura sovrana. La sorpresa arriva poco prima di cena, la nostra cena non la loro, sei leoni si avvicinano al campo nel profondo buio della notte africana. Il silenzio pare che lasci percepire il battito del cuore di ognuno di noi mentre li contempliamo abbeverarsi alla pozza poco distante da noi. Siamo “piccoli uomini sul pianeta Terra”, condotti a una dimensione atavica percepiamo una sensazione molto rara e distante dalla nostra vita. Per amore di tutto questo, di questa terra e della sua gente, Luca e Antonella hanno affiancato al campo una fondazione, la Maasai Wilderness Conservation Trust, grazie alla quale impiegano ricercatori e ranger per la protezione di flora e fauna, gestiscono dispensari medici e sostengono le scuole primarie e secondarie.
Dopo aver vissuto questa forte empatia con la natura, essere entrati in contatto con le persone che la abitano e la proteggono lasciamo il campo con la consapevolezza di avere nel cuore un prezioso, raro frammento d’Africa.

Enrico

Intervista con un Masai

L’intervistato: Parashi Ole Ntanin, nato nel 1973 a Iltilal, Chyulu Hills, Kenya.

Parashi, ci racconti qualcosa della tua famiglia e della tua infanzia?
Ho quattro fratelli e due sorelle sposate. Vivo con i miei fratelli e insieme ci prendiamo cura di nostra madre. Non ho un padre, non l’ho mai incontrato. Non sono andato a scuola. Sono cresciuto in un villaggio. Non ho mai vissuto in nessun altro luogo e sono uscito dal Kenya una sola volta, per la maratona di New York.

Che cosa sognavi di fare quando eri piccolo?
Sognavo di badare alle mucche e alla capre. Dopo sono diventato un guerriero e poi un anziano.

Qual è il tuo lavoro oggi?
Sono una guida a Campi Ya Kanzi.

Come è successo?
Lavoro qui sin dall’inizio, da quando ho incontrato Luca e Antonella [i fondatori del campeggio, ndt]. Sono delle ottime persone. Ho cominciato come cameriere e poi Silvano [un altro dei fondatori, ndt] mi ha insegnato a fare la guida per i safari. Ricordo che Luca una volta mi ha detto: “Sarai un’ottima guida.” Fare la guida è l’esperienza migliore della mia vita.

Hai famiglia?
Ho sei figli, cinque femmine – la più grande ha dodici anni – e un maschietto di tre anni, il più piccolo di tutti. Ma il bambino è il migliore!

E quante mogli hai?
Ho soltanto una moglie!

Da quando eri bambino il popolo Masai è cambiato? Come?
Una volta gli uomini avevano fino a cinque mogli, come mio padre. Ora, con l’istruzione, ne hanno una soltanto.

Pensi che i bambini Masai dovrebbero andare a scuola? Perché?
Certo, penso che l’istruzione sia molto importante,

Quale genere di lavori dovrebbero fare i Masai?
Devono badare alle mucche. Anche se alcuni vanno a scuola e all’università, i loro fratelli e sorelle possono restare con gli animali.

Puoi parlarci della tua esperienza a New York, quando sei andato per partecipare alla maratona?
Eravamo quasi trenta persone, con Luca, Samson [il presidente della Fondazione Masai per la Protezione della Fauna Selvaggia, nda] e l’attore Edward Norton. L’abbiamo fatto nel 2009 per raccogliere fondi per la fondazione. È stato fantastico!

Quali ricordi conservi di quel viaggio?
Era tutto molto diverso. Nei primi due-tre giorni era ok, ma poi ha cominciato a stancarmi. Molto rumore, fumo, tante persone. Ricordo di aver visto uno scoiattolo il mio primo giorno a New York. È l’unico animale selvaggio che ho visto. Non potrei mai vivere in una grande città come New York e se mai ci tornerò sarà bello solo per pochi giorni.

Qual è stata la tua prestazione nella maratona?
Pensavamo che il mio tempo sarebbe stato di circa 2 ore e 30 minuti, ma ho finito in 3 ore e 33. Non ho mai bevuto acqua come invece Edward e Luca mi hanno consigliato e alla fine questo mi ha dato qualche difficoltà.

Parlaci del tuo rapporto con Edward Norton.
L’ho incontrato a Campi Ya Kanyi quando è venuto a visitarci per la prima volta ma prima non lo conoscevo. Luca mi ha detto che è un attore famoso. Da allora ci siamo visti diverse volte e abbiamo fatto la maratona di New York insieme. Siamo buoni amici, è davvero una brava persona.

Parashi, qual è il tuo più grande desiderio?
Partecipare ancora una volta alla maratone di New York. Non per me, ma per la mia gente.

E qual è la tua più grande paura?
Viaggiare in aereo!

Team 7MML #06 AFRICA

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