La strada per Windhoek sale piano ma costante. Dallo zero del mare arriva ai 1600 metri della capitale e il paesaggio cambia con l’altitudine e la distanza dalla costa. Il deserto, chiaro e fosco, si popola pian piano di sterpaglie. Pochi insediamenti. Qualche gregge.
Vicino a Karibib, una sosta caffè in un negozietto in mezzo al bush, la boscaglia, ci apre un panorama di specialità locali che pare un miraggio. I proprietari, d’obbligata ascendenza tedesca, lo gestiscono con precisione e pulizia teutonica, che sembra d’essere in Baviera. Frigor pieni, affettatrici automatiche, bilance digitali, guantini da chirurghi. E una lavorante ricciola e nera che va e viene con vassoi traboccanti. Vendono uno dei cibi più diffusi nella regione, dalla Namibia, al Sudafrica, che producono fresco ogni giorno. È il biltong, carne secca tipo bresaola che preparano con manzo o cacciagione, che qui è quasi solo orice o kudu, due antilopi locali. C’è anche in salsicce: i droewurs. Squisitezze! Il posto è rinomato e il viavai è incredibile, considerato il luogo in mezzo al nulla.
Sempre dal nulla, qualche decina di chilometri più avanti, un altro miraggio. Questa volta pende dai rami d’un albero. Pipistrelli? No pesci, appesi come esca sul ciglio della strada. E noi abbocchiamo. Sotto l’albero ci dà il benvenuto Gabriel, il quale ci mostra i suoi prodotti: pesci gatto e tigerfish affumicati. Mentre il nonno gioca per terra con le sorelline a owela (o mancala, un gioco diffusissimo in tutta l’africa), ci spiega che lui e il cugino li pescano dalla vicina diga di Von Bach.
Li vendono lì, sulla statale, in mezzo alla polvere. Abitano in mezzo al bush, dice, nelle solite baracche posticce riservate ai neri.
Sono damara, loro. Mica tedeschi!