LÜDERITZ. OSTRICHE & STORIE
Ancora Bartolomeu Dias, questa volta sottoforma di croce di pietra, monumento a quella da lui piantata nel 1488, su un promontorio, nel viaggio verso il Capo. In fondo alla baia arruffata di onde c’è Lüderitz, città di nome e ascendenza tedesca in cui lo stile Impero della colonia d’un tempo (la Namibia fu Africa Tedesca del Sud-Ovest dal 1884 al 1915) aleggia tra strade deserte, cantieri e moli, in un’atmosfera pungente di vento freddo. Ma di fascino remoto.
Nel suo passato, diamanti e dolore. A Shark Island, di fronte (inaccessibile oggi per il mare mosso), nacque a quel tempo il primo campo di concentramento tedesco, con i primi esperimenti medici sui prigionieri (herero e nama, popoli locali colpevoli di ribellione), prove generali di quel che avvenne un trentennio dopo.
Giù al porto, piccole imprese campano di pesce, aragoste, e coltivano ostriche, che esportano oltremare. Si ‘pescano’ in cesti dai vivai nella baia, la mattina, dice Ignace, uno di loro, cappello di lana calato sugli occhi, grembiule in cerata e sorriso bianco. “Stiamo fuori mezz’ora… o tre ore, dipende dal tempo”. È appena rientrato e intirizzito le sta ripulendo, selezionandole a montagne nei vasconi, insieme agli altri, grattando le alghe e la terra, nelle cassette in partenza più tardi per Windohoek e poi, in aereo, per l’Europa e soprattutto Hong Kong.
Sopra il magazzino l’Oyster Bar fa al caso nostro. Una cuoca le prepara e le serve.
Ostriche chilometri zero, dunque… esclusi i 53.247 già fatti dall’Italia.