Restiamo nel sociale boliviano. Siamo alla periferia di Santa Cruz dove “…Mario Mazzoleni, un energico cinquantenne bergamasco…”
LA FORZA DI FORTALEZA
“Non cresce soltanto quello che non si semina”. E’ con la forza di questa semplice convinzione che al centro Fortaleza, nel barrio che porta il nome di Tito Solari (ex arcivescovo della città, ora a Cochabamba) cinque operatori provano insieme a 40 ragazzi, colpevoli di gravissimi reati, a ricostruire il senso e il tessuto di vite che rischiano il naufragio ancor prima di prendere il largo. In questa struttura privata, nella periferia estrema di Santa Cruz de la Sierra, con l’aiuto della Chiesa cattolica italiana e il sostegno dell’amministrazione regionale locale, sta compiendo un primo passo importante quella che qui in Bolivia definiscono “giustizia restaurativa”, per rendere l’idea di una giustizia che non deve solo punire ma reintegrare il giovane e il minore colpevole di qualche reato, nella società con una chance reale di non tornare più ad essere ospite delle patrie galere.
“Il primo problema, fondamentale, per quanto riguarda i minorenni è quella di tenerli lontani il più possibile dal carcere degli adulti”, spiega Mario Mazzoleni, un energico cinquantenne bergamasco che da undici anni vive a Santa Cruz (è sposato con una boliviana) e che da otto si occupa del centro Fortaleza come direttore e amministratore. “Le carceri boliviane, come del resto quelle di tanti altri Paesi, sono delle vere e proprie scuole di delinquenza: se ci entri pivello, ne esci delinquente fatto e finito. Per questo, aggiunge, “anche se qui i ragazzi sono privati della libertà in forza dei gravi reati commessi – mi raccomando, tuteliamo la dignità di questi ragazzi non rendendoli riconoscibili nelle immagini che raccoglierete – hanno comunque la possibilità di vivere in comunità, di essere seguiti da operatori specializzati con un’attenzione personale a ciascuno che non potrebbero avere da nessun’altra parte”. La vita comunitaria, la gestione delle proprie incombenze personali, i corsi di formazione professionale come elettricisti o informatici che gli daranno un mestiere, le attività sportive, le ore di confronto comune, seguiti da uno psicologo, su questioni come la gestione dell’aggressività sono tutti passaggi formativi che hanno l’obiettivo di restituire, al momento del congedo da Fortaleza, una persona molto diversa da quella che, limitata nella sua libertà, vi è entrata. Vivecca Albert, neolaureata in psicologia, volontaria in Bolivia con “Psicologi senza frontiere”, è entusiasta dei risultati raggiunti nel mese di lavoro che ha fatto sulla gestione dell’aggressività: “ Anche i ragazzi che in un primo momento era restii a coinvolgersi sono stati poi stimolati a farlo vedendo altri compagni interagire con me”.
Il governo regionale crede molto in progetti come questi, sottolinea Roberto Simoncelli, bresciano, coordinatore del progetto di giustizia restaurativa Qalauma a La Paz, appoggiato dall’ong italiana ProgettoMondo Mlal e consulente dell’amministrazione di Santa Cruz. “A El Torno, poco distante dal capoluogo, è stato recentemente avviato un centro, il Cenvicruz, che è un ulteriore passo avanti nella direzione di responsabilizzazione e ripristino di un rapporto di fiducia reciproca tra la società e i ragazzi che hanno avuto problemi con la giustizia. Una fattoria ampia completamente rinnovata volutamente ricostruita su un terreno in passato sinistramente noto per essere stato un lager della dittatura: un a scelta per segnare la completa discontinuità con la storia della Bolivia”.
“Qalauma in lingua indigena significa Acqua e pietra”, spiega Simoncelli. “L’acqua con il tempo, se non desiste, può scavare la pietra, anche la più dura: è quello che il progetto si propone”. Questione di tempo, questione di pazienza. Questione, soprattutto, di speranza.
Gabriele