CABO RASO? LA FINE DEL MONDO…
Cabo Raso sta all’oceano come la Terra sta allo spazio cosmico. Un puntino disperso nel non-nulla dell’infinito. Ma c’è vita in quest’angolo della Patagonia atlantica, trascurato persino dai pinguini di Magellano che gli preferiscono i vicini( si fa per dire) Cabo Dos Bahias e il più famoso Cabo Tombo. A far di Cabo Raso un “segnale” che si alza forte nella selvatica solitudine del litorale del Chubut, è Eduardo che con la sua compagna Eliane, ha fatto una scommessa con se stesso: ripopolare di tavolate, sorrisi, giochi, conversazioni e convivialità – insomma di gente, anche se solo si passaggio – questo luogo.
Fino a qualche decennio fa, Cabo Raso era un punto di raccolta della lana sulla Ruta 1, la strada nazionale che da Buenos Aires portava al Sud lungo la costa. Poteva contare sui benefici di un proprio porto naturale, aveva la Dogana, il commissariato e anche un hotel. La costruzione della più diretta e scorrevole Ruta 3 tra la capitale e la Terra del Fuoco nei primi anni Cinquanta, nel giro di qualche lustro ridusse Cabo Raso ad una cittadina fantasma. Qui sei anni fa, quando è partito il progetto El Cabo di Eduardo, restavano solo i ruderi disabitati di qualche casa, un bunker missilistico abbandonato dopo la disastrosa guerra delle isole Malvine e un’altalena di fronte all’Atlantico…
Oggi, racconta Eduardo mentre ci prepara degli hamburger di carne di guanaco e verdure, lui ed Eliane hanno ricostruito alcune casette con le loro mani, ricavandone un’abitazione per la famiglia, un salone dove accogliere chi passa (ci sono anche una piccola biblioteca e qualche oggetto di artigianato locale per chi volesse acquistare un souvenir) e poi cinque stanze da affittare a chi è intenzionato a fermare l’orologio della propria vita per qualche giorno nella wilderness patagonica… Ha lasciato l’altalena, ma il bunker è stato trasformato in dormitorio, e questo è il destino che attende anche un vecchio bus, uno de primi pullman a far servizio di linea nella provincia del Chubut. Eduardo l’ha trovato in disarmo in un deposito di Trelew, la sua città, e se l’è portato qui: entro l’inizio della stagione estiva dopo Natale avrà dieci cuccette e un piccolo disimpegno con qualche poltroncina dove ci si potrà intrattenere. Riciclando riciclando può succedere un miracolo… Eduardo deve tener duro: il demanio gli ha dato un permesso temporaneo per il suo progetto, in attesa della concessione, a patto che risieda stabilmente sul posto. Estate e… inverno. E non è facile. “Non sono pentito di aver lasciato Trelew, mi piace godermi questa solitudine, il mio vento patagonico, il turchese di questo oceano… Adesso comincia ad arrivare gente, abbiamo anche fino a 40 ospiti in certi giorni: viaggiatori, surfisti, globetrotter…E ogni anno a febbraio facciamo una festa preparando una grigliata alla cilena: la spiaggia si riempie di colori e di almeno 150 persone che passano insieme la giornata”.
Intanto a riempire la domenica prenatalizia sono arrivati, oltre ai sei “vagabondi” italiani, anche una coppia di californiani con due figlie piccole. Adam ed Emily, con Colette, 4 anni, e la baby Sierra Luna nata sei mesi fa in Brasile, da quasi due anni girano per il Sudamerica con un camper Westfalia, fermandosi dove dice il cuore… Lui, surfista e fotografo, ha lasciato il suo lavoro nel cinema a Los Angeles, e con Emily ha iniziato una “ouropenroad”, la nostra strada aperta, un “cantiere” che strada facendo è piaciuto ad un colosso dei media americano. Ora fotografano e fanno reportage del loro viaggio. Sono diretti alla Terra del Fuoco e poi in Cile, dove vogliono passare l’inverno sulla neve e sciare prima di riavviarsi verso Nord.
Un meeting inatteso, dialoghi che vanno e vengono in inglese, castigliano e portoghese, scambi di informazioni, sbocconcellando insieme a tavola e poi sulla rena, davanti al vecchio bus. Sierra Luna, nata in viaggio, festeggia il “summit di Cabo Raso” poppando latte dal seno della mamma. Colette, Coco la Tigre come la chiama Emily, improvvisa una danza per tutti noi davanti al mare, leggera nel vento inesauribile della Patagonia. Cabo Raso? È proprio la fine del mondo… Almeno per noi. Almeno per ora.
Gabriele