CAPITAN PASTENE – PROSCIUTTO D’ARAUCANIA
Dagli Appennini alle Ande e viceversa, seguendo il filo d’Arianna dei robusti sapori emiliani lasciati in eredità dei nonni. Prosciutto crudo, coppa, salsiccia, tagliatelle e ravioli rigorosamente fatti in casa, tigelle e salamini allietano le tavole di Capitan Pastene da oltre un secolo. Da quando cioè un impresario emiliano, amante del rischio e dell’avventura, riuscì a convincere una novantina di famiglie dell’Appennino modenese – di Zocca, Pavullo, Montecorone e altri borghi – a raggiungere con lui questo paesino sperduto nel cuore dell’Araucanìa, allora frontiera della politica di colonizzazione del governo cileno nei territori degli indigeni Mapuche.
I coloni di questa enclave italiana, giunti alla quarta generazione, si sono ormai integrati e si sentono cileni senza se e senza ma, tuttavia coltivano la memoria (e il gusto) delle radici familiari a partire soprattutto da ciò che si mangia. Le tradizioni culinarie passano di madre in figlia, è il caso di dire, visto che anche ai piedi della Cordigliera sembra vigere la legge emiliana della “redzora”, cioè della donna che governa la casa e soprattutto detta legge in cucina. All'”Emiliano”, ad esempio, è Genny Fulgeri Venturelli con la figlia Maria José (chef ai fornelli) e il figlio Patrizio, maitre, a coltivare i palati dei visitatori, attirati dalla “leyenda de los italianos” di Capitan Pastene, con le tentazioni della regione d’origine. E la pasta si prepara, senza eccezioni, con la farina macinata al mulino costruito negli anni ’10 del Novecento e ancora funzionante con i macchinari di allora.
“Fin dal loro arrivo, los italianos hanno sempre preparato prosciutti e coppe per il consumo familiare, c’è sempre stato un posto in casa dove tenerli a stagionare”, spiega Mabel Flores Cantergiani, “cilena al cento per cento” ma cultrice appassionata della storia degli antenati arrivati in Aracaunìa, tanto da aver allestito un piccolo museo nel suo negozio. Qui vende il prosciutto Montecorone che il marito Angelo Iubini ha iniziato a produrre dopo aver visitato i parenti sull’Appennino (poi è tornato altre 10 volte in Italia per perfezionarsi nell’arte del salume). “Ma noi in Cile non potremo mai fare il prosciutto di Parma, lo abbiamo capito”, precisano Mabel e Angelo. “I nostri nonni avevano adottato il sistema di dare un piccola affumicatura ai prosciutti, li difendeva meglio dalle mosche: noi l’abbiamo mantenuta, anzi su un parte del prosciutto ora mettiamo un po’ di merken, un preparato piccante usato dai Mapuche che ha la stessa funzione, così il nostro crudo, lo diciamo con orgoglio, è a tutti gli effetti il prosciutto di Capitan Pastene”. Il Prosciutto d’Araucanìa.
Gabriele