Posted by on 16 febbraio 2015

 
 
 

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Intervista a Valeria Lo Meo videomaker di 13 Coins 

Raccontaci un po’ di te, come ti sei formata professionalmente?, quando è nata la tua passione?, difficoltà iniziali nella professione?, quali sono i tuoi progetti futuri?.

Non nasco come videomaker anzi, professionalmente parlando io sono un commerciale. Per dieci anni ho gestito reti di vendita x grosse aziende nel settore delle telecomunicazioni. Poi incontrando Luciano (Perbellini ideatore e fotografo del progetto 13 Coins) é tornata la passione per il video, che ho sempre avuto e coltivata,ma l’incontro con lui mi ha aiutato a renderla sempre più presente nella mia vita, fino al giorno in cui ho deciso di salutare definitivamente il mio vecchio lavoro. Per il futuro sarebbe davvero bello salutare anche l’aspetto commerciale dei miei video ed impegnarmi solamente nei progetti a cui tengo… Ma stiamo lavorando perché questo possa succedere.

Per quanto riguarda 13 Coins: hai collaborato alla costruzione del progetto?

No, quando ho iniziato il progetto era già partito . Luciano aveva già fatto tre storie e il lavoro era già stato definito.

Il tuo punto di vista di videomaker è diverso da quello di Luciano fotografo?

Assolutamente si. Il video ha un linguaggio la fotografia un altro. E’ altresì vero che io e Luciano spesso ci troviamo a riprendere dallo stesso punto , questo succede, ma è come le mie immagini vengono montate che cambiano la struttura del linguaggio.

Come sono i tempi descrittivi del movie rispetto alle fotografie?

Per il pubblico: più impegnativi. Basta guardare le interazioni in internet dei video rispetto alle fotografie in un qualsiasi social network. I video richiedono più attenzione e disponibilità, mentre spesso le fotografie hanno molte più visualizzazioni e riescono ad attirare  anche un pubblico più disinteressato;tra i tanti c’è chi si sofferma e va oltre, ma in generale foto batte video 10 a 3.

Come ti sei trovata a “lavorare” con Luciano?

All’inizio è stato un ottimo stimolo, poi, strada facendo, ho trovato sempre più i miei “ritmi” e il mio modus operandi, anche perché, lui fotografa e io riprendo, le esigenze sul campo sono diverse. A volte è un po’ troppo tra i piedi, perché usando solo il 16mm è parecchio invadente.

Ci sono stati momenti in cui pensavi di non farcela?

Quando ho lavorato sulla malattia la Noma.E’ stata dura e spesso ho dovuto fare finta di guardare un film invece di pensare che lo stavo realizzando io.I bambini sono eccezionali, loro mi hanno aiutato ad andare oltre la malattia, non erano malati ma semplicemente bambini.

Avete avuto soddisfazione di questo enorme lavoro fatto?

l’aver incontrato e conosciuto queste persone è stato il premio più grande portato a casa. Con il progetto 13 Coins siamo riusciti a far avvicinare anche gente non appassionata al genere. Questo è già per me un ottimo risultato.

Avete stretto rapporti con le persone che avete conosciuto?

Assolutamente si. Non possono uscire di nascosto dalle nostre vite, non sono persone che possiamo sentire tutti i mesi, come è giusto che sia, ma non vi è dubbio che anche da parte loro ci sia simpatia nei nostri confronti.

Ci sono stati momenti in cui per pudore hai spento la videocamera perché comunque il pudore era più forte della documentazione?

Sempre con Noma… I momenti difficili sono stati davvero tanti.

Il ritorno a casa dopo aver vissuto esperienze così profonde risulta difficoltoso tornare alla vita di tutti i giorni e alle proprie comodità?

No, perché poi diventa uno stile di vita, vuol dire che se non fai tue quelle esperienze e non le riutilizzi nella tua quotidianità sarei una ladra.

Ritieni che 13 Coins possa essere utile a sensibilizzare le coscienze?

Qui uso una citazione che ho sentito da Luciano di Susan Sontag: la fotografia non fa una morale, ma aiuta là dove una morale già c’è.

Cosa ne pensi del ruolo del fotoreporter o videomaker reporter oggi?

Penso che non ci sia un pubblico all’altezza. Se mi guardo intorno, ci sono tanti contenuti interessanti, girati o scattati da colleghi bravissimi, ma quasi sempre vengono letti solo per l’estetica e spesso il “dibattito” che fanno scaturire si sofferma ad un livello superficiale… Questo a rappresentare il fatto che viviamo in una società dell’immagine, dove siamo talmente abituati a vedere vedere vedere, senza soffermarci a cercare di capire, cosa si stia guardando. Ci sono spazi per raccontare ancora. Internet ha aperto un mondo pieno di varchi.

Cosa consiglieresti ad un giovane che si affaccia oggi a questo mestiere?

Aspettiamo che prima io diventi vecchia in questo mestiere, così da poter aver capito cosa consigliare ai giovani.

 

video di Valeria Lo Meo